Di Gabriele Gailli
Come trovare l'ispirazione che porta alla conoscenza di sé? Quale è il mio posto nell'ordine dell'universo? Dove sono ora? Nella Bhagavad Gita possiamo trovare le risposte a questi dilemmi che il ricercatore trova nella strada della conoscenza di sé. La Bhagavad Gita è un testo composto da diciotto canti, contenuto nel Mahabharata attribuito a Vyasa, che sarà il primo di ventisei “compilatori” che si sono succeduti nella tradizione letteraria indiana. Il Mahabharata è il più grande poema epico della storia dell'umanità, otto volte più grande dell'Iliade e l'Odissea messe insieme, nei centomila versi che lo compongono, sono contenuti i settecento versi della Bhagavad Gita, “il canto del beato”. Il testo narra della genesi della civiltà indiana fino a 5092 anni fa, Bharata a cui l'opera è dedicata, fu il primo Re che, probabilmente, unificò l'India. Inizialmente l'epopea era narrata oralmente dai santi, poi arrivarono le prime versioni scritte che col tempo si allargarono fino alla versione attuale. Secondo la tradizione popolare indiana, il racconto venne trascritto dal Dio Ganecha, che sfidò il saggio a dettare senza mai interrompersi. Vyasa accettò ma ad una condizione, Ganecha avrebbe dovuto capire tutto quello che scriveva. Il santo dettava talmente veloce che a un certo punto il Dio con la testa di elefante, avendo consumato il suo pennino si staccò una zanna per continuare a scrivere. Di tanto in tanto Vyasa infilava pezzi dal significato contraddittorio per rallentare lo scriba che si fermava perché non aveva compreso il significato del pezzo, così il narratore poteva riprendere fiato. Le due grotte, una davanti l'altra dove stavano il bardo e lo scriba, sono ancora visibili sulle cime dell'Himalaya vicino al tempio di Badrinath. Tutto il testo ruota attorno alla ricerca del dharma, questa parola riassume in sanscrito il concetto di legge, via da seguire, religione, i doveri di un essere umano o di un monarcha (raja dharma), oppure l'ordine cosmico. Letteralmente dharma significa; così come sono le cose. Krisna, avatar di Visnu nell'epoca in cui si svolge il Mahabharata, svolge il ruolo di protettore del dharma inteso come ordine cosmico. Quindi la Bhagavad Gita diventa una lettura a più livelli, abbiamo il racconto di una epopea familiare tra due dinastie per un regno, una raccolta di leggende e storie tradizionali, un trattato di filosofia, e un campionario di figure emblematiche, ritratti psicologici, archetipi, che suggeriscono al lettore le soluzioni per i dilemmi che un sincero ricercatore del sé incontra nel suo percorso. Iniziando a leggere la Gita si entra subito nell'azione, senza preamboli o presentazioni della immane folla di personaggi che animano il racconto. Ecco il primo canto: “O Sanjaya, che fecero i miei e quelli di Pandu quando, bramosi di combattere insieme si adunarono nel campo del Kurukshetra?”. Per facilitare la lettura e la comprensione del testo è necessario un breve riassunto degli avvenimenti che precedono e seguono la Bhagavad Gita. Il poema, che sfocia in una vera e propria apocalisse, la guerra sanguinaria per il regno di Hastinapura della dinastia di Bharata nell'era dell'intervallo di Manu, cinquemila duecento anni fa, inizia con i due figli del Re Shantamanu che muoiono senza lasciare eredi. Il saggio Vyasa viene incaricato di sciogliere questo dilemma fecondando le due mogli del Re, Ambika e Ambalika. Le vedove partoriscono due figli maschi, il primogenito, che dovrebbe ereditare il regno, nasce cieco, Vyasa era talmente brutto a causa delle privazioni dell'ascesi, che alla sua vista Ambika chiuse gli occhi, il saggio quindi predisse che il figlio sarebbe nato cieco e così avvenne, fu chiamato Dhritarashtra, ma per la cecità non poteva essere Re. Ambalika invece, alla vista del santo impallidì, Vyasa allora predisse che sarebbe stato itterico e che avrebbe vissuto poco, si chiamò Pandu e ereditò il regno. Inizia la dinastia dei Pandava, le due mogli del Re partoriscono cinque figli che saranno diverse incarnazioni di varie divinità. Avvengono varie crisi sulla attribuzione del regno. I cento figli della dinastia Kaurava che deriva da Dhritarashtra chiedono il regno che spetterebbe a loro come figli del primogenito nato cieco. Ma i Pandava figli del secondogenito Pandu vogliono continuare a regnare. Dopo discussioni, trame, trattative, esili la questione rimane aperta, a chi deve andare il regno? Ecco la questione che anima tutto il racconto. I cinque Pandava, il maggiore dei quali si chiama Yudhishtira, “colui che resta saldo nel campo di battaglia”, subiscono una serie di angherie, il trono gli viene sottratto con un intrigo e subiscono l'esilio. Yudhishtira inizialmete non vuole impegnarsi in una guerra tra cugini e accetta le sorti dell'esilio insieme ai suoi quattro fratelli. Ma il gioco della vita (Lila), porta ugualmente le due fazioni allo scontro, Krisna, incarnazione di Visnu, guida le due famiglie con i suoi saggi consigli, ma non potrà evitare la guerra. Lo scontro tra le due famiglie verrà combattuta nel campo di Kuru, vicino all'attuale Delhi. Le due fazioni vedono contrapposti i due rami della famiglia, il racconto della guerra, chiamato il libro di Bhisma, contiene la Bhagavad Gita. Da una parte i Kaurava, insieme a loro le possenti armate di Krisna, dall'altra parte i Pandava e Krisna che non combatterà, ma guiderà come auriga il grande carro di Arjuna, il gentile, uno dei cinque fratelli Pandu. Eccoci di nuovo alla prima scena, il vecchio Re cieco chiede ansioso al suo auriga, Sanjaya, di raccontargli cosa avviene nel campo, (Kshetram). Le due armate sono sconfinate, legioni di carri da combattimento, elefanti, guerrieri, arceri, demoni si fronteggiano. I più grandi guerrieri del tempo sono nei due eserciti. Il frastuono degli enormi tamburi da battaglia che battono il passo dei soldati che avanzano quasi copre il suono stridulo dei grandi corni mentre le grida dei guerrieri scuotono l'aria. Poi i carri si lanciano verso il nemico, inizia la battaglia. Lo scontro sarà catastrofico, si affronteranno per diciotto giorni, alla fine solo otto sopravviveranno. I Pandava vincono la guerra, Yudhishtira regnerà per trentasei anni. È la fine del Dvapara Yuga, Krisna lascia il suo corpo, inizia il Kali Yuga, l'epoca attuale.
LA PSICOLOGIA DELLA BHAGAVAD GITA
Nella prima scena incontriamo due personaggi, il primo è Sanjaya, auriga e mantrin, l'uomo che racconta il mondo al Re cieco. L'altro appunto è Dhritarashtra la sua cecità è emblematica, non vuole vedere la realtà, nega il mondo spirituale, per lui conta solo la materialità. Sanjaya inizia a raccontare ciò che vede. Dhuryodhana, figlio di Dhritarashtra con la sua enorme armata guarda preoccupato l'esercito che si stende davanti a sé, è di minore entità ma ben disposto. Vede i cinque fratelli Pandu schierati davanti a se, pronti a soffiare le conchiglie per dare il via alla battaglia. I cinque Pandava rappresentano varie virtù, Yudishtira, Bhima, Arjuna, Nakula, Sahadeva, seguono il dharma, la virtù. Sono Ksatrya, guerrieri perfetti. Bhima e Arjuna sono virtuosi, Yudishtira è giusto, Nakula ha ottenuto pace interiore, Sahadeva possiede la visione che deriva dalla centratura e dalla sincerità del cuore. L'esercito Kaurava si stringe al suo leader, Bhisma, il grandissimo guerriero, che ruggisce come un leone prende la sua conchiglia e suona l'inizio. Anche i Pandava soffiano nelle loro conchiglie e i due eserciti si muovono mentre tamburi, conchiglie, trombe, grida, barriti e nitriti confondono il frastuono dei passi degli uomini e delle bestie. L'enorme carro di Arjuna il leader dei Pandava, allievo prediletto di Bhisma, guidato da Krisna, si muove verso verso il campo. Vede davanti a se i parenti. E si ferma. L'arco gli sfugge dalle mani. Lo stendardo di Arjuna reca la figura di Hanuman il Dio scimmia che rappresenta la fedeltà, dovrebbe trucidare i suoi familiari, maestri, amici? Ecco il dilemma di Arjuna, quale destino deve seguire? È Krisna, il suo auriga e incarnazione di Visnu a destarlo dal dubbio. Arjuna viene chiamato in molti modi da Krisna, uno di questi è Gudakesha, maestro del sonno. Egli è degno di ascoltare gli insegnamenti sul kama, artha, dharma e moksha cioè sugli scopi della vita che sono rispettivamente il piacere, la salute, lo scopo, la liberazione, perché seguendo il sentiero dello Yoga Arjuna è maestro nel padroneggiare tutti gli stati di coscienza inferiori che sono la veglia, il sogno, il sonno profondo. Il primo argomento che Krisna spiega ad Arjuna è il sentiero della conoscenza di sé attraverso la conoscenza del Samkhya e dello Yoga. Parla della centralità di Atman. Passa dalla spiegazione della realtà attraverso la scienza (il Samkhya), fino alla sperimentazione (lo Yoga), questa conoscenza si chiama Brahma Vidya.
In questo schema troviamo illustrata la realtà della manifestazione dalla luce dell'eterno e immutabile Purusa agli elementi che costituiscono la creazione fino agli strumenti per sperimentarlo, secondo il Samkhya.
Attraverso i sensi possiamo sperimentare la manifestazione ma non Purusa, Prathyahara, il ritiro dei sensi che è uno dei prerequisiti della meditazione serve a questo. Il carro da guerra di Arjuna rappresenta il corpo, i cavalli i sensi, Arjuna la mente, Krisna, l'auriga rappresenta la luce di Buddhi. Se Arjuna è il maestro del sonno, Krisna è Achyuta, quello che resta saldo, il Guru. Con la pratica dello Yoga porterà Arjuna oltre i sensi, nel palazzo di cristallo di Buddhi, dove ogni arrendevolezza, dolore, indecisione, debolezza, scompaiono nella luce della beatitudine, ananda.